Qual è la differenza tra maiale e porchetta?
Sarah Verdi
2025-08-05 18:22:23
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La porchetta deriva dal latino "porchetti", in italiano "porchetto", ovvero piccolo porco. Il termine porchetta è senz'altro uno tra i sostantivi più inflazionati della cucina italiana, ad esso possono essere associati almeno 3 significati: il primo, al quale faremo riferimento nei prossimi paragrafi, è utilizzato per denominare un arrosto di giovane maiale, eviscerato, disossato, raschiato dai peli, con la testa, condito, impalato, legato e cotto in modo da conferire croccantezza alla cotenna esterna. Il secondo indica il giovane esemplare di Sus scrofa domesticus, infatti, non è raro che un piccolo maiale venga chiamato direttamente porchetta, in quanto si tratta della cottura prediletta per questo tipo di carne da macello.
La porchetta è una pietanza cotta al forno, si tratta di un maialino arrostito, precedentemente eviscerato, disossato, privato dei peli sulla cotenna, condito, impalato e legato. In teoria, la porchetta NON dovrebbe avere più di un anno (<90-100kg) MA non dovrebbe nemmeno essere "da latte" (4-5kg).
La taglia ideale è di circa 30-40kg.
La porchetta può essere consumata calda, fredda, all'interno di panini imbottiti o in varie preparazioni come primi piatti o pietanze complesse.
Una buona porchetta si distingue dalla scarsa per la consistenza della cotenna: deve essere croccante come un biscotto.
Caterina Mariani
2025-07-23 21:27:59
Numero di risposte
: 18
La porchetta che, grazie appunto al maiale, è una vera protagonista della tavola.
La carne di maiale rappresentava una superba prelibatezza, ben superiore ad altri animali.
Arrostita allo spiedo, sopra una graticola se consumata fresca, affumicata o salata quando era destinata alla conservazione.
Nell’antica Roma la si ritrova rielaborata e arricchita di molteplici ripieni, presentata su piatti scenografici.
Sempre dall’antica tradizione latina e romana, una preparazione più vicina a quella che conosciamo è, il “porcellum farcilem”, presente nel ricettario di Apicio, preparabile in due modalità differenti.
La prima, più elaborata, prevede una doppia farcitura: la “farcia tarantina” da inserire sotto pelle, a base di pepe, bacche di alloro, ruta, radice di laser, (una pianta della famiglia delle ombrellifere ormai estinta), garum di ottima qualità, vincotto ed olio.
La seconda, posta nella cavità lasciata dalle interiora, composta di pepe pestato e in grani, ligustico (levistico), origano, un pizzico di radice di laser, cervella cotte, uova crude, semola cotta, uccellini, e, se disponibili, pinoli.
Una volta farcito, il maialino viene legato e messo nel forno.
Anche nel trattato seicentesco di agronomia del bolognese Vincenzo Tanara, “L’economia del cittadino in villa”, vi è un riferimento alle feste popolari a base di porchette tipiche di queste terre.